G.Po. / Il Corriere Adriatico

Si conclude stasera con la proiezione di «Manila Paloma Blanca» di Daniele Segre (Cinema Salotto di Ancona – orari 20.30 e 22.30) il primo ciclo della rassegna «Guardare con i propri occhi. Il nuovo cinema italiano».
La rassegna, organizzata dalla Mediateca delle Marche e dal Circolo «Louise Brooke» con il coordinamento di Anna Olivucci e Marco Marinelli, ha riscosso finora un crescente successo di pubblico, a conferma del fatto che anche in realtà decentrate esiste ancora uno spazio per un cinema di qualità non omologato. I prossimi appuntamenti con la rassegna prevedono l'incontro-dibattito con autori e critici di sabato 12 dicembre (Mediateca delle Marche, piazza del Plebiscito 17, ore 18) e, a partire da martedì 12 gennaio, un ciclo di sei proiezioni video presso la Mediateca delle Marche. Il regista del film di questa sera che, lo ricordiamo, è una prima visione, è il torinese Daniele Segre. Segre, con Mario Martone il giovane autore italiano più applaudito all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, è un cineasta indipendente da sempre attento a realtà estreme (la droga in «Ritratto di un piccolo spacciatore», la violenza e l'emarginazione in «Ragazzi di stadio») e ha firmato con «Manila» la sua opera forse più risolta, sicuramente la più complessa dal punto di vista del linguaggio cinematografico.
Il punto di partenza è, di nuovo come in passato, il desiderio di far parlare la realtà senza filtri o pregiudizi: in questo caso si tratta del tentativo di raccontare la storia personale di Carlo Colnaghi (diventato nel film Carlo Carbone), un ex attore in bilico tra demoni personali (la malattia mentale, l'emarginazione sociale) e volontà di ritrovare comunque un contatto con la realtà, lavorando ad una sceneggiatura teatrale e insieme innamorandosi di Sara, una giovane gallerista che ha deciso di ospitarlo in casa propria.
Si tratta, come è evidente, del tentativo di sovrapporre realtà del volto e della storia «vera» di Carlo Colnaghi (interprete di straordinaria intensità e vera scoperta del film) un plot narrativo che porti quasi a «confondere» realtà e fiction, rappresentazione e interpretazione. Quel che ne esce alla fine è. un film sicuramente né «carino» né banalmente «neorealista», ma concettuale ed estremista, portatore di una tragicità che è ormai merce rarissima all'interno del cinema italiano non solo giovane.